Sulla scorta dell’esperienza maturata a Santo Stefano in Aspromonte, la Cooperativa sociale Res Omnia ha avviato nel difficile quartiere Nord della città “Benessere di Comunità”, un progetto innovativo di presa in carico di persone fragili ultrasessantacinquenni
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La Cooperativa Sociale Res Omnia, in collaborazione con l’Amministrazione comunale di S. Stefano e la sezione CRI Vallata del Gallico, ha realizzato nel territorio del comune aspromontano un progetto denominato “Benessere di comunità”, rivolto ad anziani fragili e finalizzato a contrastare le condizioni di marginalità sanitaria e sociale.
L’intervento, in un primo tempo accolto con circospezione (come testimonia anche il breve video che pubblichiamo qui accanto), si è rivelato particolarmente efficace e coinvolgente non solo per gli anziani assistiti, ma anche per la comunità circostante. Infatti, come ha sottolineato nel corso di una conferenza stampa di cui diremo più avanti Cristina Ciccone, del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza Calabria, “una comunità che costruisce salute nasce dalla conoscenza di un territorio, passa per le storie dei suoi abitanti, la soddisfazione di bisogni individuali e collettivi, la forza e la dignità delle relazioni, il lavoro sociale, educativo e di cura e, soprattutto, attraverso la rete territoriale e filiera integrata dei servizi”.
Il percorso di “Benessere di Comunità”, che a prima vista potrebbe sembrare una sorta di assistenza domiciliare “rinforzata”, stravolge i canoni tradizionali di assistenza alla persona fragile, non limitandosi ad erogare singole prestazioni , pur importanti (dal fare una iniezione a monitorare i parametri vitali, dai farmaci a domicilio alle attività motorie, ecc.), per puntare alla presa in carico della persona con un approccio multidimensionale, che valuta il suo stato di salute nel contesto della condizione abitativa, economica, relazionale ( sia per quanto riguarda i legami familiari che sociali e di vicinato). Ne consegue una presa in carico dell’anziano attraverso la redazione di un progetto individualizzato, finalizzato al massimo coinvolgimento e protagonismo della persona ma anche ed all’attivazione di tutte le risorse presenti sul territorio (medici di famiglia, assistenti sociali, associazioni di volontariato, parrocchia, ecc.), nella convinzione che la promozione della salute non è una questione meramente biologica che riguarda il singolo individuo.
La presa in carico dei soggetti fragili
Fortunata Denisi, presidente di Res Omnia, spiega che l’Equipe progettuale, che garantisce l’integrazione della rete dei servizi sanitari, sociosanitari e socioassistenziali, è costituita da una coordinatrice, un’infermiera, da un OSS e da una psicologa di comunità; è quindi un gruppo di professionisti dalle competenze multidisciplinari che opera insieme al medico di famiglia,all’assistente sociale del Comune e alle diverse unità operative che assistono i singoli beneficiari (equipe allargata).
L’infermiere, operando secondo l’approccio degli infermieri di famiglia e di comunità, promuove il benessere della persona attraverso una cura sociale e sanitaria personalizzata, in collaborazione con il medico di famiglia. L’Operatrice Sociosanitaria supporta l’infermiere e fornisce anche assistenza socioassistenziale. La Psicologa di comunità garantisce sostegno psicologico e percorsi psico-terapeutici, supervisiona le prese in carico e si occupa del monitoraggio e della valutazione del progetto. La Coordinatrice, educatrice esperta, connette tutte le attività, si occupa della presa in carico dei singoli destinatari.
Questa modalità di presa in carico garantisce continuità di cura, assistenza personalizzata e favorisce la massima autonomia residua possibile, permettendo alla persona di rimanere nel proprio ambiente di vita e di viverci nel migliore dei modi possibili. Principi guida sono la centralità e la partecipazione attiva del singolo e dei caregiver, l’integrazione delle cure e il lavoro in team.
Da meri destinatari di prestazioni a protagonisti in comunità
Tutto ciò consente a volte di assistere a processi di sviluppo del potenziale delle persone che hanno del sorprendente, come il caso di una signora di Arghillà, presa in carico dall’Equipe per le sue fragilità, che, brava nel lavoro all’uncinetto, è diventata motore di cambiamento nel condominio, coinvolgendo altre vicine nella creazione di lavori che saranno utilizzati in iniziative sociali di solidarietà nel quartiere.
Dopo la positiva esperienza di Santo Stefano, il progetto Benessere di Comunità viene ora replicato nel quartiere di Arghillà, grazie ad un finanziamento europeo del PON Metro, nell’ambito della Piano “Reggio Resiliente” promosso dall’Amministrazione Comunale. Se ne è parlato in una conferenza Stampa svoltasi a Palazzo San Giorgio, dove l’assessore comunale al Welfare, Delfino, ed il consigliere comunale delegato al PON-Metro, Giordano, hanno sottolineato lo sforzo fatto dal Comune, il cui bilancio è cronicamente in crisi, per reperire fondi da destinare al settore delle Politiche sociali. Entrambi sono consapevoli che i progetti finanziati con fondi nazionali o comunitari hanno il grande limite di essere a tempo e durano pochi mesi.
Questo aspetto è particolarmente delicato in rapporto al drammatico degrado sociale di Arghillà, assieme all’altro, non meno importante, della verifica della qualità dei progetti e della misurazione del loro impatto e dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi perseguiti.
Co-programmazione e co-progettazione non sono attività facoltative
La questione è importante e delicata anche perché è oggetto di malumori e contrasti all’interno dello stesso Terzo Settore. Ci sono infatti enti, associazioni e comitati che da anni operano con continuità sul territorio che guardano con sospetto le tante iniziative mordi-e-fuggi che si realizzano ad Arghillà e che, al di là delle buone intenzioni, finiscono con l’essere più funzionali all’interesse di questo o quell’ente/associazione e dei suoi gestori che a quello del quartiere.
Tutto ciò anche a causa della mancanza di una regia da parte di Comune e ASP, che dovrebbero assumere il ruolo di capofila dei sempre invocati e mai attuati processi di co-programmazione e co-progettazione previsti dall’art.55 del Codice del terzo settore, il quale chiarisce al comma 2 che “La co-programmazione è finalizzata all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili “; e al comma tre che “La co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione di cui comma due”.
Insomma, co-programmazione e co-progettazione con il Terzo Settore non sono attività facoltative, bensì modalità obbligatorie di intervento in ambito sociale, socioassistenziale, sanitario, sportivo, culturale, per citare solo quelli più pertinenti a ciò di cui ci stiamo occupando (art. 5 Codice TS).
Coinvolgere le Università nella valutazione dell’impatto e dei risultati dei progetti
Tornando al progetto “Benessere di Comunità”, va detto che esso è strutturato con modalità che, se non resteranno sulla carta ma si tradurranno in azioni concrete anche nella difficile realtà di Arghillà, potranno costituire delle “prassi modello” da replicare.
Innanzi tutto la collaborazione dell’Equipe progettuale con tutta la rete dei servizi pubblici e privati presenti nel quartiere, e con la rete di gruppi ed associazioni che già vi operano, senza barriere né gelosie, oltre, ovviamente, che con i partner del Progetto ( CRI-Vallata del Gallico; CSI-Comitato territoriale Reggio Calabria; Associazione Italiana Infermieri di Famiglia e Comunità): su questo punto in conferenza stampa Nadia Denisi è stata molto esplicita.
E poi la partnership con il Dipartimento di scienze Politiche e Sociali dell’Università della Calabria, che farà la valutazione dell’impatto e dei risultati del Progetto.
Il Comune dovrebbe trarre ispirazione da tutto ciò per mettere a punto un modello operativo generale per gli interventi finalizzati alla cura delle persone ed all’inclusione sociale che faccia leva su tre assi portanti: 1) la co-programmazione e co-progettazione con il Terzo Settore; 2) il costante coinvolgimento delle risorse pubbliche, private e associazionistiche presenti sui territori; 3) la valutazione di impatto e di risultato degli interventi da affidare alle Università dell’area dello Stretto e calabresi.
Seguendo questa strada si avrebbero in mano gli strumenti giusti per valutare a quanti e quali progetti dare continuità nel tempo attraverso nuove risorse o utilizzando risorse residue, superando così la frammentarietà degli interventi ed evitando che anche le migliori esperienze si traducano in un boomerang causato dalla delusione di chi ( e non ci riferiamo qui ai gestori dei progetti, ma alle persone fragili destinatarie) vede all’improvviso scomparire supporti, attività, iniziative, relazioni da cui ha tratto giovamento ed, a volte, speranze concrete di cambiamento.
Alla fine del filmato relativo a Santo Stefano d’Aspromonte, si sente l’operatrice di Res Omnia spiegare all’anziana che altrove questa nuova modalità di supporto alle persone fragili è la normalità, e la signora, di rimando, esclama: ”E ‘nti nui pari chi sunnu miraculi” ( E da noi sembrano miracoli).
Ecco, forse potremo dire che la Calabria sarà davvero cambiata quando le risposte appropriate ai bisogni di salute e di socialità delle persone fragili non saranno più considerate miracoli.