Parlare di don Italo vuol dire cercare di capire il suo metodo pastorale, il carisma, le intuizioni, la genialità, di un uomo di Dio consacrato agli ultimi, innamorato del vangelo
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Non c’erano gli smartphone, non c’era internet, così pervasiva come oggi, i media non solo erano concentrati su altri argomenti ma erano in pochi: nonostante ciò, il prete reggino don Italo Calabrò era conosciuto dentro e fuori i confini calabresi.
Oggi si riscoprono preti e religiosi che hanno anticipato il Concilio Vaticano II e preti e religiosi che l’hanno attuato: tanto per fare alcuni nomi, don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari, padre Giovanni Vannucci, David Maria Turoldo, padre Pino Puglisi, don Peppino Diana e don Italo Calabrò.
Il prete del Vangelo
La Chiesa reggina ha avviato per don Italo la causa per il riconoscimento di esempio di santità, un processo lungo, di studio, di ascolto, di confronto, anche per riscoprire l’apostolato del prete reggino. Cosa non è stato don Italo? Non è giusto etichettarlo in alcune categorie, si ridurrebbe il suo apostolato, anche se ha preso posizioni contro la ‘‘ndrangheta”, si è esposto a favore dei deboli, prima di tutto l’uomo, ma non è stato solo un operatore sociale.
Cosa è stato, allora, don Italo? Il prete del vangelo, che ha vissuto una spiritualità concreta nel confronto con i bisogni che la realtà gli presentava, gli ultimi, i disabili, i giovani, i rapimenti e le faide di ‘ndrangheta che mietevano vittime. Dire che è stato prete del vangelo include tutto.
Oggi qualcuno può cavalcare e strumentalizzare l’impegno a favore dei deboli, per la legalità e la giustizia, usare i giovani; ma in quei tempi alcuni temi erano quasi censurati, visti con sospetto, non era conveniente schierarsi: alcuni argomenti nemmeno erano riservati agli eroi o ai coraggiosi, ma ai folli.
È scontato che un prete dovrebbe crederci, altrimenti non si farebbe prete, ma don Italo è uno che ci ha creduto, non ai dogmi, alle dottrine, alla rigidità teologiche ed ecclesiali, ai fissismi pastorali. Ha creduto che Cristo è presente in tutte quelle situazioni in cui esporsi è un rischio ed è lì che si è interrogati ad agire, a metterci la faccia, ad essere una voce forte, a scuotere le coscienze, a sporcarsi le mani, contro l’indifferenza e l’anestetizzazione delle coscienze.
Nel coraggio dei pastori la gente trova forza
In una delle sue tante affermazioni, “Nel coraggio dei pastori la gente trova forza,” si può comprendere la passione e la grandezza carismatica e spirituale di chi ha uno sguardo profondo e si lascia empatizzare in una prossimità che chiede una risposta, e anche di un sacerdozio universale e largo.
Oggi vanno di moda molti argomenti, poveri, immigrati, giovani, disabili, disoccupati, legalità, giustizia, categorie che per don Italo erano il pane quotidiano, senza passerelle e palcoscenici. Infatti il suo testamento spirituale termina con una frase, con un mandato: “Nessuno escluso mai”, segno di una Chiesa inclusiva, che mettendo al centro l’uomo, promuove ed evangelizza l’immagine e la somiglianza con Cristo.
Se oggi si parla di lui, attraverso l’impegno ecclesiale e sociale, le sue opere, le persone che ha incontrato, salvato e formato, è perché, come diceva il Beato Rosario Livatino, “Alla sera della vita, non ci verrà chiesto quanto siamo stati credenti, ma credibili!”