La Regione ha impugnato la sentenza del Tar che pone le basi per una soluzione equilibrata dell’assistenza psichiatrica nell’ASP di Reggio Calabria. I numeri dicono che i posti per l’assistenza mancano e i costi per il ricovero dei pazienti in altre province o regioni sono esorbitanti, mentre continua la solitudine dei malati a rischio trasferimento e degli operatori a rischio licenziamento
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Per dirla con Vasco Rossi, “Forse alla fine di questa triste storia/Qualcuno troverà il coraggio/Per affrontare i sensi di colpa/E cancellarli da questo viaggio…”
E sì, in tanti dovranno – anzi, dovremo – avere il coraggio di affrontare i sensi di colpa per essere stati assenti, distratti, complici, o, più semplicemente, disinteressati, incompetenti, o troppo occupati a fare altro mentre politici e tecnici gestori della sanità calabrese (di entrambi gli schieramenti i primi, di più o meno qualificata competenza i secondi), facevano scelte sbagliate sulla pelle di una categoria di malati tra le più fragili che esistano.
Vi abbiamo già raccontato la complessa vicenda della psichiatria in Calabria ed in particolare nell’ASP di Reggio in tre precedenti articoli (In Calabria c’è ancora la follia, anche quella di Stato; La folle gestione della Psichiatria: un passo avanti e due indietro; Residenze psichiatriche: la stagione degli inganni e del blocco dei ricoveri).
In questo teatro dell’assurdo, siamo arrivati al punto che è toccato al TAR porre, oltre alla legittimità dell’esclusione di alcune cooperative dalla gestione del servizio psichiatrico in base alla data di presentazione delle domande, la questione cruciale di tutta la faccenda.
Il reale fabbisogno nella psichiatria
Il tema centrale, infatti, è l’incomprensibile ed immotivata riduzione dei posti disponibili per i ricoveri di pazienti psichiatrici in strutture qualificate SRP2, operata nel 2021 dalla struttura Commissariale della Sanità Calabrese. Posti ridotti da 114 a 73 per effetto, sostiene il Tar (e come dargli torto?), della “mancanza di un’accurata e reale valutazione del fabbisogno del settore”.
Sul punto il TAR richiama la nota trasmessa dall’ASP di Reggio Calabria il 7 agosto 2023 al Commissario ad acta ed al Dipartimento Tutela della Salute, con la quale veniva evidenziato che: “Quanto in corso per prassi, configura una situazione tale per cui, di fatto, i posti disponibili risultano saturati, pur non essendo perfezionate le procedure di autorizzazione/accreditamento, nonostante le strutture siano esistenti ed operanti sul territorio da anni. Conseguenza di ciò è stato il blocco dei ricoveri, con l’impossibilità di inserire nuova utenza, e il permanere in stato di cronicità, di quella già inserita da anni. (…) Tutto ciò premesso, si ribadisce la necessità di identificare strategie sollecite e rapide, definendo un percorso di accreditamento destinato alla peculiarità delle strutture già esistenti”.
Peccato che dopo questa iniziativa, la Direttora generale dell’ASP si sia successivamente ammorbidita e senza colpo ferire allineata agli indirizzi della Struttura Commissariale, non rivendicando più l’adeguamento dei posti letto alle reali necessità del territorio e facendo marcia indietro sull’accreditamento delle strutture esistenti.
Il TAR toglie ogni alibi a decenni di scelte sbagliate di politica sanitaria
E così è toccato ancora una volta al TAR sostituirsi agli attuali gestori della politica sanitaria ed anche ai loro silenti oppositori pro-tempore, che per lunghi anni in passato hanno gestito le decisioni che i malati e le loro famiglie oggi pagano.
Il TAR, infatti, sottolinea che la Regione Calabria avrebbe dovuto “rimodulare l’assegnazione dei posti letto”, operazione che avrebbe anche consentito l’accreditamento delle strutture psichiatriche che da oltre un ventennio operano a favore dell’Asp come strutture miste pubblico/private.
Invece di cogliere la palla al balzo della sentenza del TAR e riaprire così la partita dell’aumento dei posti letto per la psichiatria in provincia di Reggio Calabria, unitamente al percorso per arrivare al più volte promesso accreditamento delle Cooperative che da oltre vent’anni si prendono cura dei pazienti psichiatrici, la Regione Calabria (con l’avallo del Commissario alla Sanità nonché presidente della Regione, Occhiuto, e la piena condivisione dell’ASP ) ha impugnato la sentenza del TAR.
L’opposizione della Regione al Tar è meramente giuridica e non mette in discussione le scelte di politica sanitaria profondamente sbagliate e negatrici di diritti fondamentali sia dei pazienti che dei lavoratori delle strutture che si vogliono chiudere.
Ed ecco quali saranno le conseguenze concrete se il Consiglio di Stato, che si pronuncerà nei prossimi giorni, dovesse accogliere il ricorso della Regione e annullare la sentenza del TAR.
I costi umani se non si cambia strada
Non meno di 80/85 malati dovranno essere trasferiti dall’oggi al domani in altre strutture della Regione o, addirittura come è già avvenuto, fuori regione.
Queste persone hanno diritto, sì diritto, di essere curate nella loro terra e di non essere trattate come pacchi, ancor più essendo soggetti per i quali la relazione con gli operatori sanitari e sociosanitari costituisce un elemento centrale del percorso di cura e riabilitazione.
Malati tra i più fragili e le loro famiglie sballottati e sradicati in spregio al più elementare diritto alla tutela della salute. Una sorte peraltro già toccata in passato a circa 900 pazienti calabresi che sono ricoverati in strutture di altre regioni.
Di questi, circa 250 sono pazienti dell’Asp di Reggio Calabria, ai quali occorre aggiungere i circa 150 malati ricoverati in strutture di altre province calabresi.
Infine, secondo una stima molto attendibile, sono almeno 100 i pazienti dell’ASP senza cure (o che si curano a proprie spese, se possono) a causa del blocco dei ricoveri che dura da dieci anni e che inevitabilmente continuerà.
Perché parliamo di stime e non di numeri precisi? Perché la Calabria è l’unica Regione d’Italia che non fornisce dati puntuali concernenti le strutture psichiatriche al Ministero, per cui possiamo fare riferimento esclusivamente a quanto si rinviene nei documenti programmatici di Regione ed ASP, i quali dovrebbero bastare ed avanzare per indurre chi di dovere a riordinare profondamente tutto il settore.
Riepilogando: attualmente nelle strutture a vario titolo operanti nell’ASP di Reggio Calabria sono ricoverati circa 200 ammalati; 400 sono invece quelli ricoverati in strutture fuori regione (250) o in strutture di altre ASP in regione (150); altri 100 sono in lista d’attesa.
Nell’ASP, quindi, il fabbisogno totale per la psichiatria è potenzialmente di 700 posti, mentre la programmazione sanitaria fatta dalla Regione Calabria ne prevede solo 148: ci vuole altro per concordare con il TAR circa la “mancanza di un’accurata e reale valutazione del fabbisogno del settore”?
Oltre ai malati, saranno colpiti 70 operatori (e le loro famiglie) che, malgrado abbiano svolto la loro opera di assistenza da circa trent’anni, perderanno il lavoro e saranno licenziati.
I costi economici a danno del territorio
La retta applicata nella regione Calabria varia fra i 110 ed i 130 euro, secondo la tipologia di struttura; la retta “mediamente” applicata nelle altre regioni è di circa 190 euro. La retta applicata nella Regione Calabria è più bassa di quella applicata nelle altre regioni in quanto dal 2009 ad oggi non è stata aggiornata ed in quanto sono più bassi gli standard di personale.
Posto che in Calabria possiamo considerare 120 euro la retta media, è interessante fare qualche semplice calcolo.
Arrotondando, le ASP calabresi per i 900 pazienti ricoverati presso altre Regioni spendono annualmente 62.000.000 euro; denaro che ben potrebbe essere utilizzato per organizzare degnamente la psichiatria in Calabria, attivando anche servizi diurni e domiciliari al fine di prevenire la cronicizzazione.
Da parte sua, l’ASP di Reggio Calabria per pazienti ricoverati fuori dal territorio (250 fuori regione e 150 in altre province) spende in totale circa 24 milioni di euro che ben potrebbero essere utilizzati nel territorio provinciale, anche ai fini dell’attivazione di servizi diurni e domiciliari, per prevenire la cronicizzazione e per riuscire a dare risposte anche a chi attualmente è completamente privo di assistenza.
Ammalati e lavoratori figli di nessuno
Se c’è una cosa che sorprende in tutta questa vicenda, è la solitudine che circonda la lotta dei familiari dei ricoverati e dei lavoratori delle strutture psichiatriche che rischiano di chiudere, supportati esclusivamente da due organizzazioni (USB e CooLaP) che certamente non godono di molte simpatie tra i sindacati maggiori e nel mondo politico, e da Legacoop.
Una solitudine che fa a pugni con tutte le iniziative, i tavoli, le prese di posizione e le soluzioni “creative” che invece sono messe in campo per altre vertenze. A questo proposito, basti pensare (fatte le debite proporzioni circa il numero di lavoratori coinvolti) a tutto quello che – giustamente – politici e sindacati stanno cercando di fare per salvare il lavoro dei dipendenti dei call center dell’azienda Abramo Customer Care.
Per la psichiatria, invece, silenzio e disinteresse da parte dei sindacati più rappresentativi ed influenti e della politica tutta, salvo qualche sporadica presa di posizione e qualche comunicato di circostanza.
E silenzio o solo flebili voci anche da parte del Terzo Settore, un mondo che in altre epoche, come abbiamo già raccontato, proprio sul fronte della psichiatria ha svolto un forte ruolo di denuncia e testimonianza, contribuendo a determinare grandi percorsi di innovazione e la creazione di nuovi servizi. Certo, oggi non ci sono più figure come Don Italo Calabrò, e l’emorragia di giovani (che quando raggiungono l’età dell’università o del lavoro lasciano il territorio) ha prosciugato il bacino dell’associazionismo e del volontariato sganciato dall’attività nei servizi alla persona. Tutti fattori che hanno ridimensionato la capacità del Terzo settore di essere “coscienza critica”, ferma restando l’opera insostituibile e la grande qualità di tantissime iniziative sociali, imprenditoriali e di cura che questo mondo per fortuna ancora garantisce nella nostra realtà. Ma su questo toneremo un’altra volta.
Come il trattamento dei detenuti rappresenta la cartina di tornasole del grado di civiltà di un Paese, il trattamento dei malati psichiatrici esprime il grado di civiltà di una regione e di una provincia o città metropolitana. E se in un territorio come il nostro per gli ammalati psichiatrici mancano sia posti letto nelle strutture per il trattamento, che centri diurni, case famiglia e servizi domiciliari, com’è possibile che nessuno se ne assuma la responsabilità?
Parafrasando Vasco Rossi: alla fine di questa triste storia, qualcuno troverà il coraggio di interrompere questo folle viaggio? (4- continua)