Il sindaco di Reggio, restituito al suo ruolo con piena legittimazione dalla Cassazione, parla di “un nuovo inizio”, ma la città è disillusa e rassegnata
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L’assoluzione decisa dalla Corte di Cassazione del sindaco Falcomatà e di un altro gruppo di amministratori, restituisce a Comune, Città Metropolitana e Regione gli assetti a suo tempo decisi dal voto dei cittadini.
In queste ore, alla legittima gioia degli interessati – non solo per il ritorno in carica, ma soprattutto per essere stati sgravati da una macchia giudiziaria – fa eco il tripudio (più o meno sincero) degli amici politici del sindaco, ed il disappunto (anch’esso controverso) degli avversari, che hanno visto sfumare un ravvicinato ritorno alle urne.
Dal canto, suo l’opinione pubblica è pervasa da un diffuso scetticismo circa la possibilità che in questi rimanenti due anni di legislatura la città possa rialzarsi dallo sprofondo in cui è precipitata, malgrado la tendenza di alcuni mezzi di comunicazione di assecondare il tentativo di Falcomatà di accreditare il suo ritorno come l’inizio di un nuovo percorso, come se in tutti questi nove anni di amministrazione della città ( direttamente o per interposta persona) Falcomatà sia stato un ospite e non il principale protagonista.
Falcomatà studi suo padre
Falcomatà vuole davvero inaugurare (come ha dichiarato) un “nuovo inizio” per la città?
Bene, per fare questo gli diamo un consiglio che non gli dovrebbe essere difficile seguire: studi e replichi l’approccio all’amministrazione del primo Falcomatà, suo padre Italo.
L’impressione, infatti, è che Falcomatà figlio si limiti ad evocare o citare il padre, ma lo abbia studiato poco.
Quando Italo prese in mano la città (1993), Reggio era sull’orlo di una crisi finanziaria pesantissima e ad un passo dallo scioglimento del Consiglio comunale.
Divenuto sindaco, Italo non nascose la verità ai reggini, ma rappresentò con onestà i problemi esistenti ed il duro lavoro che occorreva fare per uscire dal tunnel. Non parlò mai ai suoi esordi di “primavera di Reggio” ma lavorò perché quella Primavera si affermasse nei fatti e nella testa dei reggini: furono i risultati e non le chiacchiere ed i proclami a dare prestigio alla nuova stagione politica vissuta in città.
Divenuto sindaco, Giuseppe (2014), pur consapevole che le casse del Comune erano al disastro a causa della illegittima e scellerata gestione finanziaria e contabile dell’amministrazione Scopelliti e del Modello Reggio, ignorando i consigli di quanti gli suggerirono di dichiarare il dissesto del Bilancio, annunciò ad una città boccheggiante che la sua amministrazione avrebbe realizzato una “nuova Primavera” per Reggio: il risultato è stato aver consegnato all’Amministrazione successiva ( cioè a se stesso!) una città sfinita dal crollo totale dei servizi pubblici e da una tassazione ai massimi previsti dalle normative vigenti.
Collaboratori capaci non yes-man
Quando Italo divenne sindaco, fu circondato non da amichetti e yes-man, ma da assessori e consulenti che, pur con tutti i limiti umani del caso, avevano spessore politico, ed in alcuni casi notevole competenza specifica. Erano persone che rappresentavano autorevolmente gruppi politici e/o sociali, e perciò stesso dotate di una autonomia di giudizio che consentiva loro di confrontarsi in maniera franca ed aperta – a volte persino dura – con un sindaco che, malgrado la sua indiscussa e riconosciuta statura politica, non era visto come il padre-padrone della macchina, ma il punto di sintesi di istanze e sensibilità anche diverse: i risultati si sono visti.
Quando Giuseppe è diventato sindaco, si è circondato in prevalenza di amici e fedeli, compagni di scuola, di università e di calcetto, non sempre all’altezza del compito, rinunciando ad un rapporto di interlocuzione/collaborazione vera con le realtà sociali e culturali che arricchiscono il tessuto civile della città: anche qui i risultati si sono visti.
Ed allora, Falcomatà figlio vuole inaugurare un nuovo inizio? C’è un solo modo per farlo: dire finalmente la verità ad una città stremata e disillusa, senza nascondersi sullo stop impostogli dalla Severino per quasi due anni: quelli che ci hanno finora governato non li ha messi il Prefetto, li ha scelti lui, uno ad uno, ed in questi anni non hanno mai smesso di ricordarcelo citandolo ad ogni piè sospinto in qualsiasi dichiarazione o comunicato.
Niente alibi, dunque, per il fallimento amministrativo che è sotto gli occhi di tutti.
Basta favolette, la città è stremata, i servizi sociali inesistenti
Due anni non basteranno per invertire la tendenza, ma possono bastare almeno per arrestare un declino che ai più sembra irreversibile, a condizione che non si parta dal promettere nuove improbabili Primavere.
Serve presentare alla città un rapporto trasparente (che esige la messa a disposizione di ogni informazione e documentazione), sullo stato del Bilancio comunale, che dia conto delle risorse vere su cui si potrà contare ed anche dello stato dell’evasione contributiva che così pesantemente lo penalizza; sulle opere cantierate e su quelle che possono essere realisticamente finanziate nel breve periodo; sulle risorse di personale esistenti, su quelle che sarebbero necessarie e su quelle che, realisticamente, si potranno acquisire da qui alla fine della legislatura.
Infine, ma per quanto ci riguarda è la cosa prioritaria e più importante, occorre con franchezza dire alla città cosa si vuole fare per le persone bisognose, per i più deboli, per le donne e le mamme in difficoltà, per garantire ai bambini il diritto ad asili, scuole, mense, spazi di vita analoghi a quelli cui possono accedere gli altri bambini nel resto del Paese.
E’ amaro doverlo constatare, ma Reggio, che parecchi anni fa sul terreno delle politiche sociali aveva raggiunto livelli di servizio dignitosi, oggi si ritrova in fondo a tutte le classifiche delle città capoluogo.
Perciò, il primo passo per un nuovo inizio non può essere raccontare un’altra favoletta sulle “magnifiche sorti e progressive” di un futuro quanto mai improbabile, ma un resoconto fatto di verità e pochi ma chiari impegni concreti, da affidare possibilmente a persone capaci, ancorché non strettamente appartenenti alla ristretta cerchia del sindaco.