Luci ed ombre sulle novità introdotte dalla riforma Cartabia riguardo la giustizia riparativa sono emerse nel corso di un incontro tra esperti organizzato dall’Agape, dall’Ordine degli Avvocati di RC e dalla rete Avvocati “Marianella Garcia”. Ci torneremo con successivi articoli, ma, per cominciare, facciamo chiarezza su che cos’è ed a cosa serve la giustizia riparativa
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Quando leggiamo o sentiamo notizia di fatti delittuosi la nostra prima reazione è quella di prendere posizione, giudicare e sperare che il colpevole venga punito, che “marcisca in carcere”, “che possa ricevere quello che ha fatto”, poco ci interessa del mondo nascosto dietro la commissione di quel reato.
È un retroscena che interessa poco alla comunità, desiderosa di punire i “parassiti” della società; che interessa poco all’avvocato, che vuol sol fare prevalere la propria verità processuale in cui c’è poco spazio per le emozioni; è un mondo che poco interessa alla magistratura, perché dopo il processo dell’imputato in cima all’elenco ci saranno altri trenta imputati quel giorno, tutti con una propria storia, ma ci sono tempi e orari da rispettare, bisogna essere efficienti ed efficaci e in tutto questo non c’è spazio per quel “sentire” o per conoscere la sofferenza del colpevole e della vittima.
Durante un processo, dunque, c’è chi spera nell’assoluzione, chi nella condanna peggiore e chi chiede un risarcimento del danno subito, ma, come diceva il noto filosofo Kant, “ci sono cose che hanno un prezzo, altre una dignità”, ed è a questo che tende la cosiddetta giustizia riparativa. Ma cosa significa giustizia riparativa?
Definire la giustizia riparativa non è semplice: Howard Zehr la definì come un modello capace di coinvolgere “la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di una soluzione che promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo”.
La giustizia ripartiva non mira a difendere gli interessi della vittima o dell’autore del reato, ma ad offrire uno spazio neutro dove tutte le parti sono incoraggiate e supportate nell’esprimere i propri bisogni, bisogni per cui non c’è spazio nel processo penale.
L’obiettivo della giustizia riparativa
In sostanza, l’obiettivo della giustizia riparativa è quello di rimuovere le conseguenze del reato attraverso l’incontro tra le parti che, con l’assistenza di un mediatore terzo e imparziale, sono spinte a prendere coscienza da un lato (quello del reo) del dolore e della sofferenza inferto alla vittima e quindi della necessità di compiere azioni/attività riparatrici per quanto possibile; e dall’altro (quello della vittima) a superare il desiderio della punizione come risarcimento per il torto subito, aprendosi alla comprensione ed offrendo al reo una opportunità di riscatto e cambiamento.
Le parole chiave utili per comprendere la giustizia riparativa sono infatti l’ascolto ed il riconoscimento dell’altro: sentire la sofferenza dell’altro per comprendere la gravità del dolore causato ed assumersene le responsabilità; mettersi nei panni del reo e conoscere la storia, le ragioni che lo hanno portato a commettere un atto illecito. In una parola sola ci vuole reciproco riconoscimento di emozioni e di sofferenze, uno scambio dei propri vissuti.
È necessario che tra le parti ci sia empatia: l’incontro tra le parti, fulcro della mediazione, è fondamentale per promuovere l’empatia. È il faccia a faccia che, secondo Levinas, può ridestare il colpevole, anche colui che abbia commesso reati gravissimi e può aiutare la vittima a sentirsi riconosciuta, compresa nella sofferenza. L’incontro con il volto dell’altro, l’ascolto reciproco, con l’aiuto e supporto di personale specializzato, finiscono con il ricondurre la legge alla sua radice: l’autore del reato non è inchiodato irreversibilmente alla colpa così come la vittima non lo è al ruolo di vittima eterna.
Dal minorile al mondo degli adulti
Sono percorsi già ampiamente sperimentati in ambito minorile e che ora, con la riforma Cartabia, si intende estendere anche agli adulti, seppur con tutte le differenze del caso e non senza alcune criticità, sia sotto il profilo normativo che procedurale, che i tecnici e gli operatori del settore hanno cominciato ad evidenziare.
Per farsi in concreto un’idea di cosa si tratta, è utile un’esperienza citata in un articolo dell’UffPost che riferisce la storia di un incontro – avvenuto alla presenza e con il supporto dei mediatori – tra una donna che aveva subìto una rapina e i suoi aggressori, quattro minorenni. “Da quel giorno aveva gli incubi, non riusciva a far entrare nel negozio persone che avessero anche solo una sciarpa al collo. Il giorno dell’incontro, però, quelli che erano stati i suoi aggressori si sono rivelati quattro ragazzini fragili, che si vergognavano del loro gesto. Si sono parlati, si sono guardati negli occhi e il confronto ha aiutato la signora a superare i suoi traumi. I ragazzi hanno poi svolto anche dei lavoretti nel suo esercizio commerciale all’interno del percorso riparativo. Una piccola storia, un esempio concreto di cosa voglia dire ricomporre le fratture. Vittima e reo, insieme”.
Un cambiamento che gioverebbe a tutta la comunità
La nostra Costituzione stabilisce che ogni pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Tuttavia è universalmente noto che l’attuale sistema penitenziario sul punto ha un bilancio completamente fallimentare.
Ecco perché la giustizia riparativa potrebbe contribuire ad assicurare, sotto questo profilo, anche il rispetto del principio costituzionale della rieducazione, in quanto il percorso di auto responsabilità che l’autore del reato è costretto ad affrontare nel momento in cui si trova di fronte la propria vittima, il riconoscimento dell’altrui sofferenza, lo rende realmente e concretamente consapevole del disvalore di quanto compiuto, mentre l’attività risarcitoria che è chiamato a svolgere gli dà l’opportunità di riscattarsi non solo nei confronti della vittima, ma anche agli occhi della comunità in cui vive.
Non v’è dubbio che riconoscere ed accettare lo strumento della giustizia riparativa passa attraverso l’evoluzione di un modello culturale sganciato da stereotipi di pregiudizio e della rigida concezione della pena, valorizzando il principio del rispetto dei diritti umani.
Quanto gioverebbe alla comunità o ad una città come Reggio Calabria farsi promotrice di un tale modello culturale, creando percorsi e luoghi per la giustizia riparativa?