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Incredibile ma vero, allora anche in Calabria si può

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Concorsi pubblici e raccomandazioni. A seguito dell’emergenza sanitaria determinata dal Covid, sono state introdotte delle norme che hanno semplificato lo svolgimento dei concorsi pubblici, rendendoli più trasparenti e meno permeabili alle clientele ed alle raccomandazioni. Di recente anche la Giunta regionale si è mossa in questa direzione

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La pandemia di Covid (che peraltro sembra non volerci abbandonare) ha inferto duri colpi al nostro Paese, innanzi tutto in termini di vite umane perse, e poi sul piano economico e sociale. Essa, tuttavia, ci ha anche obbligati a reagire, determinando così, per taluni aspetti, uno scatto in avanti della società italiana che  fino a qualche anno fa sembrava impossibile:  valga per tutti il salto esponenziale realizzato nell’uso  delle tecnologie informatiche e del web, con amministrazioni pubbliche, aziende, lavoratori e cittadini che in brevissimo tempo hanno dovuto acquisire un modo nuovo di relazionarsi e lavorare, riuscendo in molti casi a velocizzare e migliorare processi di lavoro e servizi.

Tra i “lasciti” positivi della Pandemia, ce n’è uno, passato quasi inosservato nel dibattito pubblico, che può rappresentare per l’Italia, e per il Sud in particolare, l’avvio di una vera e propria rivoluzione del costume civico e che, se durerà anche oltre l’emergenza sanitaria, potrebbe costituire un’arma fondamentale nella lotta alla pratica clientelare della raccomandazione, che purtroppo viene ormai considerata come ineluttabile da parte dei cittadini e come una leva di potere irrinunciabile da molti politici e centri di potere variamente organizzati: mi riferisco alle modalità semplificate di svolgimento dei concorsi pubblici, che, per effetto dell’art.10 della legge 28 maggio 2021 numero 76 e da ultimo del decreto legge cosiddetto Milleproroghe, si svolgono attraverso prove scritte gestite e valutate con sistemi elettronici ed una sola prova orale (la prova orale però non è obbligatoria, tant’è che sono moltissime le amministrazioni che ne hanno fatto a meno).

Ma attenzione, diversamente dal passato, i concorsi non sono basati sui famosi quiz attitudinali, ma su quesiti specialistici a risposta multipla, rispetto ai quali il candidato deve avere una conoscenza specifica delle materie concorsuali.

Sono centinaia ormai le prove che si sono svolte con questa modalità semplificata (gran parte dei quali gestiti dal Formez) e decine di migliaia le persone assunte che, finalmente, non sono state costrette o indotte a cercare un appoggio, un conoscente, un politico, un sindacalista che potesse intervenire sulla Commissione d’esame durante la correzione degli scritti o agli orali per un aiutino, una spinta, un occhio di riguardo.

Migliaia di persone e di famiglie sono state così liberate dal “ricatto del pane”, la necessità cioè di affidarsi a qualcuno per poter uscire dallo stato di precarietà, incertezza, bisogno di lavoro al quale sono condannati molti giovani e giovani-adulti del Sud. Sappiamo tutti che l’articolo uno della Costituzione materiale italiana (cioè la costituzione effettivamente applicata e non quella formale della Gazzetta Ufficiale) è stato negli anni emendato nel modo seguente: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e sulla raccomandazione”, e sappiamo anche quanto il sistema delle raccomandazioni sia considerato qualcosa di “normale” e scontato, finendo con il coinvolgere anche quelli che non vorrebbero o non avrebbero necessità di attivarlo ( quante volte abbiamo sentito ragionamenti del tipo “siccome tutti si raccomandano, devo farlo anch’io, altrimenti parto svantaggiato”?).

Le raccomandazioni alimentano una palude sociale dove l’illegalità diffusa non viene nemmeno percepita come tale. E’ allora il caso di ricordare che il funzionario pubblico (sia esso il cattedratico che falsa le procedure di selezione universitaria, ovvero l’anonimo commissario di un concorso qualsiasi) che favorisce scorrettamente qualcuno a scapito di altri, viola le norme costituzionali poste a base dell’azione della pubblica amministrazione (legalità, imparzialità, buon andamento), e, laddove da tale comportamento ricavi un vantaggio patrimoniale, commette il reato di abuso d’ufficio.

Mettere in atto procedure concorsuali in grado di eliminare alla radice la possibilità di ricorrere alla raccomandazione rappresenta perciò un cambiamento epocale in quanto:

  1. innanzi tutto, premia la competenza specifica e quindi non mortifica il merito, perché al concorso sei davanti al computer ed in un arco temporale determinato ti misuri con gli altri ad armi pari: se sei preparato sulle materie specifiche passi, altrimenti no;
  2. aiuta i candidati e le loro famiglie (padri e madri a volte disperati che non vedono uno sbocco, un futuro per i loro figli malgrado la bravura, l’impegno ed i sacrifici affrontati) a non svendere la propria dignità, a non dover bussare alla porta del politicante o del faccendiere di turno per mendicare un aiuto che dovrà comunque essere un giorno ripagato, nell’urna elettorale o con altre forme di scambio;
  3. libera la pubblica amministrazione da molti condizionamenti impropri esercitati da coloro che, avendo favorito l’assunzione del proprio protetto, ne ricavano in cambio un asservimento ed una fedeltà che non di rado si scontra con gli stessi obblighi e doveri d’ufficio (se chi ti ha “sistemato” chiama per sollecitare una pratica, una licenza, una autorizzazione, come fai a dirgli di no?).

Naturalmente, anni e anni di pratiche clientelari hanno sedimentato una subcultura diffusa che non sarà facile sradicare, e ci vorrà molto tempo prima che nelle procedure concorsuali la selezione imparziale diventi la normalità e la raccomandazione l’eccezione. Ecco perché sarebbe importantissimo che le regole semplificate di svolgimento dei concorsi introdotte a causa della pandemia diventino la modalità ordinaria di svolgimento degli stessi, ovviamente perfezionando sempre più i quesiti, in modo da selezionare i candidati più preparati.

Insomma, occorre fare di tutto per togliere dalla testa dei giovani meridionali, anche di quelli più bravi, la convinzione che “senza santi non si va in paradiso”, dimostrando loro, invece, che il sacrificio, lo studio, l’impegno e la competenza sono carte fondamentali per costruirsi un futuro non solo nel settore privato, ma anche in quello pubblico.

Per tutte queste ragioni, merita apprezzamento la decisione del Presidente della Giunta regionale, Roberto Occhiuto, di affidare al Formez, senza prevedere la prova orale, il concorso per i 568 posti nei Centri per l’Impiego, al quale hanno fatto domanda oltre 47.000 candidati. Occhiuto ha precisato che la scelta della modalità semplificata del concorso con Commissioni esterne all’apparato regionale risponde all’esigenza di “dimostrare a tutto il Paese che la Calabria vuole qualificare al meglio il proprio apparato burocratico attraverso giovani capaci e meritevoli; puntiamo su merito e trasparenza e, per evitare possibili interlocuzioni o intromissioni, abbiamo preferito non prevedere i colloqui orali”: chapeau!

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