Dopo la chiusura dell’Ospedale Psichiatrico di Reggio Calabria, il vento del cambiamento si arrestò. I compromessi al ribasso, gli scandali di Serra d’Aiello e Girifalco ed il dietrofront della Regione
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Come abbiamo avuto modo di raccontare nell’articolo “In Calabria c’è ancora la follia, anche quella di Stato”, sul finire degli anni ’80, il movimento della società civile creatosi attorno all’opera di Don Italo Calabrò, aveva generato un Vento che diede un impulso decisivo al superamento del Manicomio, il lager del rione Modena di Reggio Calabria. L’inevitabile intervento della magistratura mise poi la parola fine su una pagina angosciante della nostra città.
Certo, come sovente accade, in particolare alle nostre latitudini, non mancarono compromessi, limitazioni e contraddizioni. La gestione delle strutture alternative che, in relazione a quanto stabilito dalla Regione Calabria, doveva essere affidata in convenzione solo a Cooperative, in alcuni casi venne concessa, in maniera tutt’altro che limpida e lineare, a soggetti privati, verosimilmente per soddisfare qualche “appetito” di coloro che avrebbero potuto opporsi al trasferimento dei pazienti.
La chiusura del lager di Reggio, poi il nulla
La chiusura dell’Ospedale Psichiatrico – che comunque mise la parola fine anche a gravissime e meschine speculazioni consumate sulla pelle dei pazienti – fu aspramente e strumentalmente contrastata da parte degli operatori sanitari impiegati presso l’Ospedale Psichiatrico e persino dalle organizzazioni sindacali più importanti. Il timore era quello di perdere qualche primariato, nonché “privilegi” che varcavano ampiamente i confini del lecito, favoriti dallo stato di abbandono e/o di compiacenza e dall’assenza di controlli in cui versava la struttura manicomiale.
Ci pensò (anche in questo caso) il Presidente del Comitato di Gestione dell’Azienda Sanitaria dell’epoca, Francesco Gangemi, a convincere medici e sindacati con l’invenzione del modello di “gestione ibrida”, in cui la direzione delle strutture veniva affidata ad un medico psichiatra già operante presso l’OP (con conseguente salvaguardia ed anche notevole incremento dei posti di primariato).
Anche gli infermieri ex Psichiatrico furono trasferiti in blocco presso le strutture. Furono così create strutture miste in cui solo i servizi di riabilitazione ed alberghieri vennero affidati alle cooperative (ed in alcuni casi a privati). Un compromesso che, fra l’altro, comportò la trasmissione di retaggi manicomiali nella gestione delle strutture.
Pur con tutte le contraddizioni del caso, resta comunque il fatto che l’esperienza di Reggio Calabria è stata (ed è ancora ad oggi!) l’unica che ha portato ad una distribuzione delle strutture residenziali sul territorio che, nonostante le limitazioni suddette, hanno fatto registrare tante esperienze positive di reintegrazione sociale, laboratori teatrali, inserimenti in attività di lavoro che hanno costituito e costituiscono un esempio di come sia possibile applicare efficacemente i principi della legge Basaglia nel nostro territorio.
Purtroppo, dopo l’avvio dell’esperienza di Reggio, la Regione e le Aziende Sanitarie territoriali non diedero alcun seguito a quello che era stato l’obiettivo dichiarato e formalizzato dall’ente medesimo nel 1988, sotto la guida degli assessori Trento e Di Marco. Una stasi assoluta: nessun centro diurno né servizio domiciliare attivato sul territorio. Nessuna attenzione verso la salute mentale.
Gli scandali di Serra d’Aiello e Girifalco
Lo stato di torpore venne infranto a seguito di due nuovi, gravissimi scandali.
Il 17 marzo del 2009, in piena notte, per ordine del Procuratore di Paola, Eugenio Facciolla, la polizia irruppe presso la struttura manicomiale privata di Serra d’Aiello, gestita da un’organizzazione ecclesiale. Un centinaio di agenti prelevarono (letteralmente!) i 360 ricoverati dai loro letti per trasferirli presso altre strutture, senza alcun preavviso a pazienti e familiari, e così precipitosamente da lasciare nella struttura (cosa inaudita) le cartelle cliniche dei degenti. Era stato da tempo accertato che i pazienti versavano in stato di assoluto abbandono. Morti misteriose, diversi scomparsi nel nulla. Si parlò anche di traffico d’organi. Sacerdoti indagati e poi condannati. Ma la doverosa chiusura della struttura avrebbe dovuto realizzarsi con metodi meno traumatici, salvaguardando la dignità dei pazienti ed il loro destino.
La struttura era gestita da un sacerdote, Alfredo Luberto, che fu rimosso e successivamente anche condannato. L’ arcivescovo di Cosenza del tempo, Monsignor Salvatore Nunnari, da poco insediatosi, non nascose in alcun modo le nefandezze verificatesi nell’Istituto che, del tutto indegnamente, portava il nome del “Papa buono”, Giovanni XXIII. Interpellato dai giornalisti, egli dichiarò: “Mi vergogno che dentro un’istituzione ecclesiale si sia rubato, oltre al denaro, la stessa dignità dei più poveri”.
Ma nel contempo l’Arcivescovo rese noto che si stava adoperando con le istituzioni per pervenire ad una soluzione dignitosa per i pazienti, al di fuori dell’ambito ecclesiale, quando improvvisamente ed inaspettatamente era stato “avvisato” dal Prefetto che non se ne sarebbe fatto nulla, che il Procuratore aveva disposto il trasferimento presso altre strutture appositamente realizzate da soggetti privati. Lo raccontò al quotidiano l’Avvenire in un’intervista dove ricostruì senza reticenze e sconti per nessuno il percorso intrapreso e la speranza interrotta di ridare dignità a tanti ammalati ( clicca qui per leggere l’intervista integrale).
Gravissima altresì era la situazione esistente nella struttura manicomiale di Girifalco, nello stesso periodo in più circostanze oggetto di denuncia sui media nazionali. Girifalco è tristemente ricordato anche per il buio esistenziale che ha tolto la vita ad Antonio, ricoverato a Girifalco e morto suicida in quanto gli era stata negata anche la possibilità di amare: la storia è narrata da Simone Cristicchi nella canzone/poesia “Ti regalerò una rosa”.
L’inadeguata risposta della Regione Calabria
Davanti a questi clamorosi casi, la Regione, seppur malamente, si risvegliò.
Con delibera n.141/2009, la Giunta regionale guidata da Agazio Loiero, con sospetta quanto inconsueta celerità, appena tredici giorni dopo il blitz di Serra d’Aiello adottò le linee guida per l’accreditamento e la gestione delle strutture psichiatriche private. Linee guida inadeguate, ma funzionali a rendere operative e remunerative le strutture che, con i metodi denunciati dall’Arcivescovo, erano state avviate. Al contempo, la giunta si prodigò per recuperare in qualche modo il personale in pianta organica già operante a Serra D’Aiello e Girifalco.
Il risultato finale fu la sostanziale riproposizione della logica manicomiale, ben distante dai principi dettati dalla “Legge Basaglia”. Infatti, la funzione riabilitativa delle strutture fu sostanzialmente ignorata, prevedendo, ad esempio, l’impiego di soli due educatori per moduli di 20 ospiti. Educatori peraltro fittizi, considerato che tale titolo venne riconosciuto a chiunque avesse operato per cinque anni nei due Manicomi di Serra e Girifalco anche solo come assistente generico, malgrado nelle predette strutture non vi fosse mai stato alcun educatore: insomma, è come se all’interno di una cucina professionale, dall’oggi al domani un aiutante addetto a riordinare, pelare le patate, ecc., venga nominato aiuto-cuoco! Clamorosa poi la circostanza che le linee guida (tutt’oggi in vigore), consentirono l’accorpamento di più moduli in un unico stabile, dando così la possibilità di creare, di fatto, reparti con 60 e più pazienti. La struttura privata di “Borgo dei Mastri”, che ospita 150 pazienti, ne è un lampante esempio.
Insomma, fatta la legge (“Basaglia” ) trovato l’inganno ( delibera 141/2009). Un gravissimo passo indietro ove si pensi che nel 1988 la stessa Regione Calabria aveva adottato ben altri innovativi indirizzi! Peraltro, la delibera, così come la normativa per l’accreditamento delle strutture private, ignorò completamente l’esistenza, nella provincia di Reggio Calabria, di strutture pubbliche cogestite con le cooperative sociali, non emanando alcuna direttiva al riguardo.
Esamineremo nel dettaglio, nel prossimo articolo, gli sviluppi della vicenda, con particolare attenzione a quanto successo nell’ambito dell’ASP di Reggio, senza trascurare la risposta che la società civile e le organizzazioni sociali sono state in grado di esprimere.
Per il momento lasciamoci con una breve riflessione su un concetto fondamentale enunciato dal padre della Psichiatria moderna.
Un illustre pensiero ed una riflessione
«La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere», scrisse Franco Basaglia negli anni ’70.
A questo illustre pensiero – che richiama la doverosa logica di inclusione sociale degli allora ricoverati nei manicomi – sentiamo di dover aggiungere che la Psichiatria, come esercitata in un territorio, costituisce la cartina al tornasole della politica, della pubblica amministrazione e della società civile. Laddove queste compiono il proprio dovere la psichiatria funziona adeguatamente. Laddove è l’assistenza psichiatrica a risultare malata, laddove su di essa incombono mancanze ed ignobili speculazioni, sussiste un segnale inequivocabile di come siano gravemente infetti la politica e la pubblica amministrazione, specialmente quando la società civile resta ingabbiata e non riesce ad incidere sul sistema. (segue)