La scuola può essere ancora il luogo di una studiosa meraviglia, o la ricerca spasmodica di iscrizioni, le valutazioni, il marketing scolastico sono un inganno che conduce al tradimento della sua missione essenziale?
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Perché (non) andare a scuola è un gran bel libro di Pierpaolo Perretti, docente reggino che insegna italiano e latino nei licei a Rende, pubblicato l’anno scorso da Rubbettino che, da colleghi, io e Giuseppe Licordari abbiamo presentato un paio di settimane fa alla scuola Principe di Piemonte, insieme ad un personaggio inatteso, ma evidentemente graditissimo: Pinocchio! Ve lo immaginate?! Non stava più nella pelle a sentire che finalmente un professore avesse detto pubblicamente quello che lui va ripetendo da una vita! Solo una cosa toglierebbe: la parentesi presente nel titolo!…
Qual è stato il senso di quest’incontro, bello, intenso e partecipato, che ha visto la presenza dell’autore? Intanto quello di non essere un incontro fine a sé stesso. Partendo dai ricchi spunti offerti dal libro si è inteso provare ad avviare una riflessione collettiva sulla Scuola e sull’Università in Italia, sull’educazione e la formazione delle nuove e nuovissime generazioni. Per ascoltare, meditare, proporre, desiderare, risvegliare…
Dunque una prima puntata, alla quale ne seguirà un’altra tra un paio di mesi e poi si vedrà se davvero si potrà configurare un percorso…
Il disagio giovanile
Ma c’era un altro aspetto altrettanto importante: non era un incontro per addetti ai lavori. Non a caso sono stati invitati insegnanti, dirigenti, genitori, alunni; ma anche, più in generale, cittadini consapevoli. Nella considerazione che la Scuola, come la Sanità, come l’Ambiente, come la Pace, è oggi un grande problema sociale, che in un modo o nell’altro riguarda tutti. Basta dare un’occhiata al contesto attuale. Si pensi alle guerre (e a una in particolare), ai diritti umani calpestati in tanti luoghi del mondo, al diffuso senso di precarietà e di malessere, generale e soprattutto giovanile, nei nostri paesi ricchi, democratici e in pace.
A fine 2021 un rapporto di Save the Children ha reso noto che nel mondo, nella fascia di età 10-19anni, 1 ragazzo/a su 7 soffre di disturbi “mentali” (interiori): ansia, depressione, apatia, disturbi del sonno, irritabilità, problemi comportamentali…con ben 46.000 suicidi l’anno, 1 ogni 11minuti.
Sono ben conosciute le sfide estreme e le non rare e violente risse in piazza, previo appuntamento sui social. Ma anche a scuola si assiste a frequenti e forti tensioni incrociate tra alunni, docenti e genitori, a parte quelle interne al mondo dei bambini e dei ragazzi: sbeffeggiamenti, molestie, violenze fisiche, verbali, psicologiche…Che non hanno risparmiato nessuno, neanche bimbi di asilo e di asilo nido.
Certo che il mondo non è solo questo e il fatto che ci sia chi si trovi a riflettere insieme ad altri ne è una prova. Ma questo c’è e ignorarlo o provare a rimuoverlo sarebbe un errore gravissimo.
Come si colloca la Scuola davanti a tutto ciò? Come si colloca l’Università davanti a tutto ciò? Fino a che punto due tra le principali istituzioni educative e formative giocano il ruolo che è loro proprio in una partita così difficile? Ma poi…qual è il loro ruolo? Si può ritenere che siano all’altezza di questo tempo e dei bisogni che esso esprime in un modo così gridato e dirompente? Si può ritenere che siano sintonizzate sulla frequenza giusta?
Istruzioni per l’uso
Nasce da qui, da domande come queste, Perché (non) andare a scuola. Un libro che si consiglia caldamente di leggere con attenzione -tra l’altro è estremamente scorrevole- per fare un viaggio personale profondo in un problema così importante.
Per chi ha lavorato o lavora o studia a scuola o all’università sarà come un rivedere e fare il punto sulla propria vita. Per tutti sarà capire sempre meglio le dinamiche di questa società (politica, economia, pubblicità, competitività) e, cosa tutt’altro che secondaria, il vissuto attuale proprio o dei propri figli, nipoti, bambini, ragazzi, giovani che si conoscono o a cui si vuole bene.
Un libro di istruzioni per l’uso che va solo adattato ai riferimenti più familiari a ciascuno dei lettori. Pierpaolo Perretti si racconta e fa esempi seguendo il filo della sua formazione umanistica; ma chi ha più confidenza con l’arte, la musica, la scienza, lo sport, non faticherà a trovare nel proprio ambito personalità e situazioni analoghe.
L’autore è cristiano e si vede, ma ognuno ha nella mente e nel cuore ideali alti a cui tenersi sempre collegato. E ancora, l’autore parla di licei, ma affronta questioni che riguardano ogni ordine di Scuola e la stessa Università.
È un libro onesto e coraggioso. Perché Perretti non si chiama fuori, si mette allo specchio anche lui insieme al sistema di cui, come tutti, fa parte, e del quale, lo dice lui e non si può che essere d’accordo, la responsabilità è di tutti. Un libro che, nato da amore e spirito di servizio, svolge di fatto un servizio pubblico, come un servizio pubblico ha voluto essere questo incontro.
Un libro coraggioso perché non mira ad aggiustarsela con tutti, ma dice cose che potrebbero sconcertare molti, anche se poi si sa bene che, sottovoce, le dicono più o meno tutti.
Si guardi per esempio questa, a proposito del voto, che di fatto è diventato “il” fine (e dunque anche “la” fine) della possibilità che i giovani scoprano la luce, la bellezza e la ricchezza del sapere: “Spesso mi capita di pensare che in fondo la cosa più semplice e vera da comunicare per un professore sia che un essere umano normale può leggere l’Odissea, sì, tutta intera…Forse insegno per questo: nessuno di noi ha attraversato il mare (che sia quello di Ulisse o il nostro è lo stesso), io stesso mi sento smarrito di fronte all’immensità, ma ogni tanto riesco a insegnare a nuotare, nella migliore delle ipotesi a costruire una barca e magari perfino a pilotarla, tenendo conto del sole o delle stelle… (Ma) una lunga pratica scolastica, un inveterato modo di considerare l’apprendimento, uniti ad una “furia valutativa” sempre tendente a tradire anche sé stessa, hanno scoraggiato questa navigazione, e l’hanno ridotta a una becera tendenza classificatoria…Per dare senso alla vita scolastica dovremmo spezzare la logica utilitaristica con la quale ammorbiamo la conoscenza…”
È un fatto, e il libro lo descrive accuratamente, che le scuole e le università sono ormai aziende in serrata competizione tra loro. E alla logica della sopravvivenza dell’azienda -le mie iscrizioni, i miei finanziamenti, i miei posti di lavoro, e quindi il marketing, l’immagine, l’Open Day- si piega tutto il resto, persino la veridicità del voto. Il quale voto non è solo uno strumento assolutamente inadatto a descrivere il profilo culturale di un alunno, ma risulta di fatto distorto, potremmo dire legalmente falsato, perché i ragazzi/utenti, ma più ancora clienti, devono andare avanti comunque, sappiano o non sappiano, crescano o non crescano…e lo stesso vale per il recupero dei debiti formativi e, naturalmente, per gli Esami di Stato, “notte senza luce”, scrive l’autore. E questo è ormai così risaputo e naturale tra i ragazzi, i genitori, i dirigenti e gli insegnanti, che le grandi assenti sono esattamente quelle che invece permetterebbero a tutti di affrontare con gioia ed efficacia ogni esperienza: le motivazioni.
Perchè sei qui? Perchè studi?
Il libro si apre con una domanda, che Perretti pone puntualmente a tutti i suoi alunni, anche di quinta, all’inizio di ogni anno scolastico: “Perché sei qui?“…Le risposte vanno lette…Non lo sanno veramente…Non lo hanno mai saputo…Storie che si ripetono, si legge testualmente, all’Università: “Perché studi? – Perché devo fare l’esame tra un mese“; “Perché vuoi laurearti?” – Perché devo trovare lavoro“; “Ha senso ciò che studi? –Sì, bisogna pur campare“.
Ma l’autore, che nel libro parla di “vocazione”, ma anche di “altruismo” e di “etica” indissolubilmente connessi allo studio, che altrimenti studio non è, col coraggio di chi ama e vuole curare guardando negli occhi il problema per affrontarlo insieme, non ha paura di dire che anche noi, che probabilmente lo sapevamo, sapevamo perché si studia, le abbiamo un po’ smarrite, queste motivazioni...Noi che dovremmo trasmetterle e che ci troviamo invece persi in documenti da scrivere, in griglie da approvare, in riunioni convocate con l’unico scopo di essere svolte, in possibili ricorsi da cui difenderci…
Ma, si legge nel libro, “quella ragazza, quello studente…ha costruito una coscienza, ha ricevuto come dono dal suo percorso un cuore che effettivamente desideri confrontare la propria vita con quelle pagine?…Insegno per quel cuore e quella coscienza, gli unici che ci rendono veramente uomini e diano significato alla nostra conoscenza. Insegno per questo, per trovare il mio cuore e la mia coscienza e con questa ricerca accompagnare qualcuno nelle proprie regioni interiori. Vorrei che la scuola trasmettesse innanzitutto questo ideale, indicasse soprattutto questa rotta…”
Appunto, la rotta delle regioni interiori…