Vai al contenuto
Tempo di lettura
5 minuti

Liberi di scegliere: speranze e dubbi, perché la vita reale è complessa

Tempo di lettura 5 minuti

Liberi di scegliere” è un protocollo che si propone di aiutare e accogliere donne e minori che vogliono uscire dal circuito mafioso. Da tempo si dibatte sull’opportunità di trasformarlo in legge. Un’ipotesi che merita una attenta valutazione dei pro e dei contro.

Se preferisci, ascolta l’audioarticolo

E’ passata per lo più sotto silenzio la notizia, qualche settimana fa, di una operazione della DDA di Reggio Calabria che ha portato all’arresto per mafia di un giovane rampollo della nota cosca locrese dei Cordì, protagonista anni prima, alle soglie della maggiore età, di uno dei progetti di “Liberi di scegliere” e che aveva anche raccontato, in un una lettera a un quotidiano nazionale, la sua esperienza.

Riportano le cronache che le attività criminali del gruppo erano cominciate anni prima, quindi quasi a ridosso del progetto che aveva visto attivo il giovane, tra le varie esperienze legate al distacco dal suo contesto di vita,  in una associazione antiracket siciliana.

Da quanto l’indagine ha accertato quindi, spenti i riflettori, il ragazzo si è subito posto alla testa di un agguerrita e rinnovata cellula di cosca impegnata in traffici di droga e violenze mafiose di vario genere.

Non è la sola vicenda sconcertante. Segue, infatti, quella del giovane rampollo di altra notissima famiglia mafiosa, quella dei Molè, che vola a Torino con Libera, racconta di voler tornare in Calabria e magari lavorare sui terreni confiscati alla sua famiglia, ci torna e viene arrestato nel maggio 2020 per avere sotterrato 534 chili di cocaina, pienamente reinserito nelle attività criminali della sua “famiglia”.

Tempo fa, scrivendo a proposito di un progetto di legge regionale, nato sulle ali di “Liberi di scegliere”, riflettevo come l’intuizione di partenza giusta (ed anzi preziosa) di questi progetti, nati dall’impegno del giudice Di Bella e di alcuni operatori dei servizi, quella di scardinare i percorsi di vita dei figli dei mafiosi destinati altrimenti a perpetuare ed amplificare scelte criminali delle loro famiglie, difficilmente poteva dare luogo a modelli replicabili su vasta scala.

Ho avuto anzi l’impressione, e forse non solo io, che questo efficace slogan, così come quello di “togliere” i minori alle famiglie mafiose, sia divenuto assai presto una formula facile, televisiva e semplificatrice, invece che essere una operazione particolarissima, intelligente e “silenziosa”, che studia e sfrutta le risorse sul campo, ove ci siano.

Si dirà che uno o più fallimenti in queste cose vanno messe nel conto. Del resto, lo stesso accade per le esperienze di affidamento ai servizi sociali degli adulti, ciclicamente criticate di fronte ai non pochi casi di recidiva, ma utile alternativa al carcere. Percorsi da affinare certo, da proporre con cautela, ma strada maestra nello spirito della Costituzione perché il punire si apra al cambiamento ed al recupero della persona.

Investire innanzi tutto sulla prevenzione primaria della devianza

La preoccupazione maggiore è però che in questo delicato settore il “lavoro sociale” rischi oggi di essere spesso autoreferenziale, nel senso di costruirsi nicchie di buoni progetti ed esperienze pilota, crogiolandosi in alcuni successi e rifiutando però il duro confronto con la complessità della vita reale.

Perché, e gli operatori seri lo sanno bene, costruire una possibile alternativa di vita ai figli dei mafiosi, allevati fin da piccolissimi a pane e mafia, in famiglie che si fanno un vanto di replicare le gesta dei padri e dei nonni, nonostante lutti e galera, non è una passeggiata. E la comunità residenziale per minori di oggi, sempre più “professionale” e sempre meno “esperienziale”, alle prese con carte, controlli, orari di lavoro degli operatori, rischia di “congelare” soltanto scelte di devianza, destinate a riesplodere qualche anno dopo. Forse bisogna essere disposti a rinunciare a progetti che danno lustro ai promotori (perché, ad esempio, c’è di mezzo un figlio di un capomafia, pronto a fare il testimonial in qualche seminario) se vi è il rischio di soluzioni affrettate e spesso artificiose, dove si fa solo da sponda a finte redenzioni.

E, soprattutto, le risorse pubbliche, sempre esigue, devono essere impegnate massicciamente prima ed altrove, nella prevenzione primaria della devianza, dove si semina, nella vita dei quartieri, nel lavoro dei gruppi di volontariato tra i giovani. La sfida è tutta lì. Lo ha ricordato lo stesso Di Bella, quest’estate, ricevendo un’altra “cittadinanza onoraria” in un paesino della Provincia. Servono asili e scuole efficienti, servizi di sostegno al disagio giovanile, una cultura diversa: il Tribunale dei minori interviene solo su situazioni patologiche sempre difficili da superare.

Le nuove leve di mafia ed il modello Gomorra

Ma nella vicenda di Locri vi è un secondo elemento che deve inquietarci e far riflettere.

Ed è quello di una mafia di terza o quarta generazione che, prima ancora dei rituali secolari di Polsi, si nutre ormai spasmodicamente dei modelli di Gomorra, di una mafiosità esibita, prima ancora che vissuta, che rimbalza sui cellulari senza interruzione giorno e notte.

Questo gruppo di giovani evocava nei dialoghi, nelle pose, nei commenti quello che avevano visto nella fortunata serie Sky giunta al settimo anno e di cui va fiero Roberto Saviano, il quale l’ha definita una “rivoluzione culturale”. Che però, non è un mistero, più che sollevare le coscienze, ha prodotto in questi anni migliaia di imitatori a cominciare, la notizia è di Repubblica, dai due assassini di Willy Monteiro, ai quali il carcere passa anche questo bel prodotto di sicura “rieducazione”.

Scommettere sul bene e sulla spinta propulsiva del lavoro di base tra i ragazzi

Tornando alla Calabria, che effetti di omologazione di questo tipo siano ormai giunti a permeare anche le giovani leve di famiglie di ‘ndrangheta un tempo potenti e silenziose, non deve stupire. Nell’era del dominio globale dei media i giovani sono attratti da modelli di forza ed arroganza stereotipati, a portata ogni minuto dei cellulari, nevroticamente tambureggiati per scambiarsi immagini forti, dove la visibilità è tutto. Sarà più facile forse l’azione repressiva di poliziotti e magistrati, ma i danni restano e niente appare potersi opporre al dilagare di modelli giovanili devastanti.

Per chi opera nel sociale e tiene viva la fiammella di una “libertà di scegliere” per tutti, legata alla forza moltiplicatrice del bene e della solidarietà, quella di oggi è insomma una sfida assai ardua. Perché, lo sappiamo, politica e scuola balbettano, per salvare capra e cavoli, per mostrarsi abbastanza moderni e tolleranti. Dobbiamo dircelo: intoccabile resta il “diritto” alle notti della movida dei ragazzi, anzi dei giovanissimi, droghe, violenze ed alcol inclusi, basta consolarsi con qualche campagna pubblicitaria e che la Polizia arresti un balordo ogni tanto. E le famiglie, prima ancora della scuola che ne accoglie tutte le isterie, sono lo specchio di questa confusione, come quella madre che giustificava il figlio appena scoperto rapinatore, perché… stressato dalla DAD.

Insomma, se scommettere sul bene e sulla spinta propulsiva del lavoro di base tra i ragazzi è ancora possibile e più che mai necessario, facciamolo davvero bene, con una costante e benefica autocritica, senza illuderci troppo con progetti e manifestazioni.

Tutto è maledettamente complicato: per restare “liberi di scegliere”, i ragazzi, come i pesci, hanno bisogno di acqua pulita dove nuotare, il resto serve a consolare.

[crowdsignal rating=8967117]

NEM - Nessuno Escluso Mai
Testata Web No Profit - Reg. Trib. Reggio Cal n.2/2022
Tel. 0965 894706 Via Paolo Pellicano, 21h - 89128 Reggio Calabria (RC)
Direttore Responsabile Giuliano Quattrone - Web Master e Designer Danilo Avila

Search