Sette mesi non sono bastati a governo e maggioranza per mettere in campo gli strumenti alternativi al Reddito di Cittadinanza per i cosiddetti “occupabili”, ma nemmeno alle opposizioni per sollecitarne l’avvio. Sul destino di chi non ce la fa si affacciano i fantasmi dell’Autonomia differenziata e si allungano le ombre di istituzioni importanti messe in crisi dall’invadenza del potere politico
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Molto si è detto e scritto in questi giorni a proposito della sospensione del reddito di cittadinanza a migliaia di famiglie, comunicata agli interessati dall’INPS con un SMS. Tra i tanti interventi, quello che mi è parso meglio delineare le diverse responsabilità di una situazione che, comunque la si voglia vedere, colpisce soggetti deboli già in grande difficoltà a causa di una inflazione che si mantiene oltre il 10% per quanto riguarda le spese alimentari, è l’articolo di Chiara Saraceno su la Repubblica del 1 agosto, intitolato “Reddito di cittadinanza, tra cinismo e sciatteria”.
In sintesi, Chiara Saraceno spiega che:
- La cessazione del reddito di cittadinanza allo scadere dei sette mesi di ricezione per decine di migliaia di persone era ampiamente attesa perché l’aveva prevista la legge di stabilità per il 2023, approvata a dicembre 2022.
- C’era tutto il tempo perché l’Inps non aspettasse l’ultimo minuto per avvertire gli interessati e perché i servizi comunali, d’accordo con i centri per l’impiego, accertassero chi di costoro rientrasse tra i non occupabili.
- C’era tutto il tempo, ma poco o nulla è stato fatto, specie dal governo che non ha minimamente ottemperato a quella parte delle decisioni sulla materia approvate nella legge di stabilità che lo riguardavano direttamente: messa a disposizione di corsi per il raggiungimento della licenza media per coloro che non l’hanno ottenuta e organizzazione di corsi intensivi di qualificazione e riqualificazione per tutti gli occupabili.
- L’accordo previsto tra ministero del lavoro e ministero dell’istruzione per la predisposizione di corsi per l’acquisizione della licenza media non è mai stato fatto. Nessun corso intensivo di riqualificazione dedicato ai beneficiari in scadenza è stato approntato, tantomeno è stato avviato un lavoro con le aziende per valutare quali siano le più efficaci misure di inserimento.
- Questa sciatteria istituzionale non depone bene per il futuro: non solo le piattaforme informatiche necessarie per farlo funzionare sono ancora di là da venire, ma il rischio è l’incentivazione di corsi senza costrutto, utili ai beneficiari solo ad ottenere per qualche mese un piccolo sussidio e a chi li organizza per ottenere finanziamenti. Una storia già vista troppe volte.
- In tutto questo colpisce che l’opposizione (a parte Italia Viva e Azione che condividono con la maggioranza di governo l’ostilità radicale al reddito di cittadinanza) sia molto vivace nel denunciare l’espulsione di migliaia di beneficiari dal Rdc, ma non abbia in questi mesi chiamato il governo a far fronte agli impegni presi, denunciandone le inadempienze e i rischi. Quasi che abbia aspettato che la rivolta scoppiasse e mettesse in crisi il governo. Se è così, si tratterebbe a sua volta di una scelta politica un po’ cinica.
Fin qui i contenuti essenziali della vicenda. Ci sono però altri aspetti che meritano qualche considerazione al di là delle polemiche scatenate dall’improvvido SMS dell’INPS.
Partiamo dal dato di fatto che in questa come in tante altre materie che riguardano il sistema di welfare nazionale, sono numerosi gli organi, gli enti e le amministrazioni centrali e territoriali che hanno competenza (un paio di ministeri, Anpal, Inps, Regioni – da cui dipendono i Centri per l’impiego e i corsi di formazione – e i Comuni – da cui dipendono i servizi sociali territoriali). Se tra tutte queste realtà così diverse per struttura operativa, tempi di reazione, disponibilità economiche e di risorse umane, non si stabilisce quella che in gergo viene definita “leale collaborazione istituzionale”, il risultato è quello che abbiamo visto in questi giorni : lo scaricabarile e le accuse incrociate (a volte esplicite, altre più sussurrate).
Tra scaricabarile ed accuse incrociate
Ma non è solo questo. Quando il raccordo istituzionale non funziona, a pagarne le spese sono sempre i più deboli.
Tuttavia, anche tra le fasce deboli c’è chi è più fortunato e chi meno, perché diritti e/o bisogni fondamentali che dovrebbero essere riconosciuti e garantiti in egual misura a tutti i cittadini, molto spesso dipendono dal luogo in cui si vive.
Esemplare, da questo punto di vista, è stato l’intervento del leghista Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia alla trasmissione In Onda, su La7 del 1 agosto.
Fedriga ha giustamente vantato la sua regione, precisando che grazie ad un sistema molto forte di formazione professionale gestito dagli enti locali ed ai rapporti con le imprese, chi vuole in FVG trova lavoro, lasciando così intendere che anche per i cosiddetti “occupabili” del reddito di cittadinanza la strada è spianata.
Siccome non c’è da dubitare circa la rispondenza alla realtà di quanto affermato da Fedriga, sorge spontanea una domanda: quale sarà, invece, il destino dei tanti cosiddetti “occupabili” che non hanno la fortuna di vivere il FVG ma vivono nei territori disagiati e depressi del Sud?
Questa divaricazione esprime in maniera plastica ciò che succederà in tanti altri settori del welfare, prima tra tutte la sanità, se dovesse passare l’Autonomia differenziata di cui si sta discutendo in parlamento, con buona pace di tutte le rassicurazioni sul tema che lo stesso Fedriga si è precipitato a fare nel corso della trasmissione.
L’INPS ha un problema : l’ingerenza politica nella sua gestione operativa
L’altra questione sulla quale vale la pena soffermarsi è il ruolo sempre più asservito alla politica di grandi enti ed istituzioni nazionali che, per loro stessa natura e funzione, dovrebbero essere caratterizzati da indipendenza ed autonomia gestionale ed operativa, con netta distinzione tra l’indirizzo politico e la gestione tecnico-amministrativa.
Faccio qui esplicito riferimento all’INPS per il ruolo che l’ente di previdenza ha avuto ed ha nella gestione di tutta una serie di prestazioni previdenziali ed assistenziali che costituiscono la parte preponderante del welfare del Paese, non ultimo il RDC.
Quando, nel marzo 2019, il governo giallo-verde sostituì il presidente Tito Boeri con il grillino Pasquale Tridico (prima delle elezioni indicato come probabile futuro ministro del lavoro e poi dirottato all’INPS), furono poste le premesse per l’uso politico di questa grande istituzione, da sempre caratterizzata da una struttura amministrativa altamente competente e da una dirigenza apicale orgogliosamente gelosa della propria autonomia.
Tale percorso si completò, dopo l’avvento del governo Conte 2 (settembre 2019) , con la nomina di un CDA che vide l’avvento di alcuni consiglieri politicamente etichettati che progressivamente si sono intromessi nella gestione operativa dell’Ente e che, seguendo l’esempio di Tridico, convocavano dirigenti, partecipavano a riunioni operative ed erano destinatari di note ed informative specifiche rispetto alle rispettive aree o questioni di interesse.
Questa illegittima ingerenza nella quotidiana gestione della macchina INPS è stata peraltro facilitata da una dirigenza apicale che in larga parte, diversamente dal passato (basti ricordare un memorabile scontro tra l’ex direttore generale Nori ed il presidente dell’epoca Mastrapasqua), non ha tenuto la schiena dritta e si è consegnata armi e bagagli al nuovo corso.
Ed ecco che l’Inps è ormai considerato dal potere politico una importantissima casella da occupare il prima possibile, piazzando al vertice i propri uomini e spodestando chi rappresenta gli sconfitti. Il recente commissariamento ne è la riprova.
Si dirà: è lo spoils system, bellezza, che ci vuoi fare?
Ci voglio fare che un’istituzione come l’INPS, il secondo bilancio dopo quello dello Stato, per quello che è e che rappresenta dovrebbe essere preservata dalla lottizzazione politica, perché essa deve essere al servizio esclusivo dei cittadini, nel pieno rispetto dei valori costituzionali di imparzialità, legalità, buon andamento (art.97). Peraltro, l’INPS, al pari dell’INAIL, è disciplinato da una legge (nove marzo 89, n.88) che ne sancisce l’autonomia!
Se malgrado ciò lo politicizzi, rischi di esporre al dileggio ed alla rabbia dei delusi il suo personale, fatto di funzionari straordinari, tra i migliori di cui la pubblica amministrazione oggi disponga; e ne svilisci il prestigio nelle complesse relazioni con le altre istituzioni, presso le quali storicamente l’INPS ha sempre goduto di grande rispetto.
La storia non si fa con i se e con i ma, e tuttavia sono convinto che in altri tempi l’INPS sarebbe stato ben capace di farsi parte attiva nell’opera di raccordo tra vari enti ed istituzioni al fine di gestire al meglio la fase di transizione tra RDC e assegno per il Supporto per la Formazione ed il Lavoro per due semplici motivi: per la riconosciuta autonomia dagli interessi politici di parte e per la grande capacità del suo management, due elementi oggi fortemente messi in discussione.
Ed invece l’Inps è inciampato in un maldestro SMS, peraltro in parte sbagliato, generando grande confusione e facendo lo scaricabarile sui servizi sociali dei Comuni (che naturalmente sono stati presi d’assalto anche da chi non ha nel nucleo familiare minori o soggetti fragili e deve rapportarsi ai centri per l’impiego, ma solo dopo la messa a disposizione della nuova piattaforma informatica dedicata che sarà disponibile dal 1° settembre!)
Una scelta comunicativa che contraddice uno dei capisaldi dell’attività INPS: porre al centro l’utente
Se poni al centro l’utente, specialmente quando hai a che fare con soggetti deboli usi l’SMS se gli vuoi comunicare che hai predisposto un pagamento, hai accettato una domanda, insomma se devi dargli una buona notizia: per quella servono poche parole ed i limitati caratteri di un SMS possono anche bastare.
Ma se invece devi comunicargli qualcosa di spiacevole e che necessita di spiegazioni perché è una faccenda complessa, non puoi usare l’SMS, devi farlo in altri modi, modi che la potente macchina dell’INPS dovrebbe ben conoscere e che devono avere alla base il rispetto del cittadino, e di quello debole in particolare (a cominciare dalla firma delle comunicazioni).
Dopo il famigerato SMS, all’INPS hanno cercato di correre ai ripari con un comunicato di un paio di pagine, annunciando addirittura un video per spiegare agli interessati cosa fare. La stessa Commissaria Gelera ha definito l’SMS “poco accurato” (senza però dare conto, in maniera trasparente, com’è dovere di un Ente pubblico, delle responsabilità di questa scarsa accuratezza).
È il caso allora di fare notare alla nuova Commissaria Inps che di “poco accurato” c’è pure il sito ufficiale dell’Istituto, dove (come si vede dallo screenshot che pubblichiamo in basso) tra le direzioni centrali non risulta elencata la Direzione Centrale Comunicazione, che non solo esiste, ma dovrebbe essere quella che garantisce la corretta comunicazione istituzionale. O no?